Morti sul lavoro. Il testo unico una vergogna italiana

tratto da www.dazebao.org di Marco Bazzoni*

Evidentemente tutti gli infortuni, gli invalidi, le malattie professionali e le morti sul lavoro non sono abbastanza se il Governo Berlusconi ha pensato bene di smantellare il Dlgs 81/08 (testo unico per la sicurezza sul lavoro) con il Dlgs 106/09 (decreto correttivo), piuttosto che renderlo funzionale. E pensare che il Ministro del Lavoro Sacconi dopo la strage sul lavoro al depuratore di Mineo (CT) dell’11 giugno 2008, che costò la vita a sei operai comunali, annunciò un piano straordinario per la sicurezza.

Se per piano straordinario intendeva questo decreto, beh, allora stiamo freschi. Per anni sono state chieste pene più severe per i datori di lavoro responsabili di gravi infortuni e morti e per quelli che non rispettano la sicurezza sui luoghi di lavoro.

Ora il governo che fa, dimezza la maggior parte delle sanzioni ai datori di lavoro, dirigenti e preposti, ma non solo. Non contento, non potenzia neanche i controlli. Che poi qualche imprenditore becchi qualche multa è alquanto improbabile. Visto l’esiguo numero di  personale ispettivo delle Asl diventerà una vera e propria rarità ricevere un controllo, in quanto, se va bene potrà verificarsi ogni 33 anni. Ma non è finita qui. Onde evitare che qualche imprenditore finisse in galera si è previsto che l’arresto possa essere tramutato in sanzione amministrativa. Inoltre, ciliegina sulla torta la salva manager non è stata cancellata, ma semplicemente riscritta. Certo non è spudorata come la precedente, ma da sempre spazio a manovre e cavilli vhe alla fine favoriranno i manager. C’è da chiedersi come mai Napolitano abbia potuto firmare questo decreto, sapendo che questa norma non era stata cancellata. L’intento era evidente, scaricare le responsabilità dei manager su preposti, lavoratori, progettisti, fabbricanti, installatori e medici competenti. Non essendoci certezza della pena, anche se nella remota ipotesi un datore di lavoro venga condannato per la morte di un lavoratore, il carcere "lo vedrà con il binocolo".

Eppure il ricordo di queste tragedie non si può cancellare. Come quella di Andrea Gagliardoni, morto il 20 giugno del 2006 a soli 23 anni con la testa schiacciata in una pressa tampografica nella ditta Asoplast di Ortezzano (AP), o  Matteo Valenti, morto bruciato, dopo 4 giorni di agonia per un gravissimo infortunio sul lavoro (8 novembre 2004) nella ditta Mobiloil di Viareggio, oppure i quattro operai morti carbonizzati nell’esplosione alla Umbria Olii di Campello sul Clitunno (25 novembre 2006), e allo loro famiglie che spettano ancora  giustizia: 8 mesi con la condizionale per la morte di Andrea Gagliardoni, 1 anno e 4 mesi con la condizionale per la morte di Matteo Valenti , mentre quello per la morte dei 4 operai alla Umbria Olii non è neppure iniziato, e al momento non si sa quando avrà luogo.

Viene da chiedersi: ma in che paese viviamo? Ci definiamo una "Repubblica fondata sul lavoro", ma forse sarebbe più corretto dire, una "Repubblica fondata sulle morti sul lavoro". Come si fa a definire civile, un paese dove ogni anno ci sono 1200 morti sul lavoro? Qualcuno, come l’Inail, adesso dirà che nell’anno 2008 c’è stato un calo di morti sul lavoro con soli 1120 decessi. Ma andrebbe ricordato che dal 2008 ad oggi stiamo attraversando la più grossa crisi finanziaria ed economica dal secondo dopoguerra ad oggi, e che quel calo dipende più da una sostanziale riduzione di lavoratori  a causa della cassaintegrazione, della mobilità e della chiusure di molte aziende, e non da una maggiore sicurezza nei luoghi di lavoro.

Tuttavia se vogliamo proprio dirla tutta, nemmeno i dati dell’Inail non sono oro colato. Questi, infatti, non tengono conto degli infortuni denunciati come malattia, che si stima siano intorno a 200 mila ogni anno se non oltre, di tutti i lavoratori che muoiono in "nero" che vengono abbondonati fuori dai cantieri o dalle fabbriche. Poi ci sono gli Rls, cioè i rappresentanti dei lavoratori, che denunciano la scarsa sicurezza in azienda, e che spesso sono oggetti di minacce, e di sanzioni amministrative che possono arrivare fino al licenziamento in tronco.  Il caso del macchinista delle ferrovie Dante De Angelis insegna,  la cui unica colpa è quella di aver denunciato prima alla sua azienda, e poi ai mezzi d’informazione la scarsa manutenzione e sicurezza sui treni eurostar.

E’ passato un anno dal suo licenziamento, ma ad oggi non è stato ancora reintegrato, nonostante le migliaia di firme raccolte in suo favore, e soprattutto alla luce degli utlimi episodi, come quello di Viareggio del 29 giugno scorso che ha causato 29 morti,e le cui le denuce di De Angelis si sono rivelate fondate. Vale la pena ricordare, che dal 14 giugno 2009 è stato introdotto il "macchinista unico", e purtroppo, gli incidenti ferroviari, sono destinati tristemente ad aumentare.

*Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza