Dalle mondine ai call center

In una metafora tra passato e presente: il modo di produzione capitalista segna oggi come ieri una frattura insanabile fra interessi degli sfruttati e quelli degli sfruttatori. Il sistema capitalista preme gli individui a trovare un ruolo in una produzione sociale che non gli appartiene. Mentre le borghesi escono dalle loro "prigioni dorate" per rivendicare un posto in Parlamento o nelle professioni maschili, milioni di contadine e casalinghe vengono spinte dal bisogno nella produzione su larga scala: la fabbrica, la filanda, la miniera, l’ufficio e il call center diventano i luoghi di una ulteriore forma di vessazione, dell’oppressione di classe. Questo secondo fardello, la storia ci ha insegnato che però, le ha sottratte dalla solitudine delle quattro mura, diede loro la possibilità di trovare altre compagne e compagni con cui ribellarsi alla propria condizione di sfruttate, diventare protagoniste della propria vita, spezzare la propria sottomissione all’uomo, insomma dare un colpo al patriarcato. Tutta l’esperienza delle lotte delle lavoratrici insegna proprio questo: alla lotta sul luogo di lavoro si accompagna sempre una crisi nella famiglia, in cui gli uomini vedono con sospetto il nuovo protagonismo femminile e le donne, presa fiducia nelle loro capacità, non tollerano oltre i soprusi e le ridicolizzazioni della loro figura da parte dei padri, mariti e fratelli.

Mondine: ragazze di ieri, ragazze di oggi

"Son la mondina,

son la sfruttata;

e lotteremo per il lavoro

per la pace, il pane e la libertà.

e creeremo un mondo nuovo

di giustizia e di nuova civiltà".

Grazie alle mondine nascono le prime leghe dei lavoratori, e i primi scioperi hanno portato a delle conquiste sociali che ancora oggi stanno alla base del nostro sistema di vita; ma se sono stati fatti passi avanti in realtà il ruolo del lavoratore è e sarà sempre da difendere.

Il fenomeno di sfruttamento del lavoro femminile ha costituito un ‘laboratorio’ per le prime rivendicazioni sindacali delle donne.

In Italia la coltivazione del riso iniziò a diffondersi tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, nelle zone del milanese e del vercellese, che sono tutt’oggi zone di produzione d’eccellenza di questa coltivazione. La raccolta del riso è stata una prerogativa – fino ai primi anni Sessanta del secolo scorso – di gruppi di donne provenienti dai territori circostanti, dal Piemonte, dalla Lombardia, dal Veneto e dall’Emilia Romagna, che raggiungevano la pianura del riso ogni anno ai primi di maggio, per la “stagione della monda”. Le mondine svolgevano un lavoro faticosissimo con le gambe nell’acqua, la schiena curva, le mani sporche di fango, tormentate da zanzare e tafani. Erano perlopiù giovanissime (alcune avevano appena dodici, tredici anni); quelle che avevano già compiuto i trent’anni, venivano chiamate dalle altre “le anziane”.

Per fare le mondine molte giovani donne lasciavano la propria casa e la famiglia, andando a stabilirsi per un tempo indefinito in una zona sconosciuta, dove le uniche relazioni sociali erano quelle che si stabilivano tra loro; si trattava di contadine, provenienti dalla dimensione storico-sociale della pianura padana, caratterizzata dalla seconda metà dell’800 da una forte crescita demografica con eccedenza di manodopera nelle famiglie mezzadrili, e la crisi agraria che creò, per queste stesse famiglie, pesanti difficoltà. Le donne, per far fronte a questa drammatica situazione, erano state costrette ad abbandonare la terra infoltendo così le schiere di braccianti; erano dunque donne abituate a lavorare la terra, disponibili ad offrire la loro manodopera, e in condizioni di subordinazione rispetto agli uomini: la loro giornata lavorativa veniva pagata di meno e durava di più. Costituivano il 75% degli occupati nella monda del riso, poiché si riteneva che il lavoro comportasse più resistenza che forza fisica; in realtà, il lavoro era estremamente duro, svolto in acque malsane e melmose. Immerse nell’acqua fino al ginocchio, con le braccia e le mani bagnate, nei mesi di giugno e luglio le mondine dovevano poi sopportare il caldo e i miasmi. Le condizioni di lavoro rendevano le risaiole precocemente vecchie e deperite, molte si ammalavano e restavano segnate a lungo da questa esperienza di sfruttamento.

Vi era tuttavia un elemento di novità importante rispetto alla condizione media delle donne dell’epoca: le mondine si presentavano nel mercato del lavoro come soggetti autonomi, che percepivano un salario individuale, parzialmente svincolate dal controllo familiare e sociale. Il lavoro fianco a fianco, la condivisione degli spazi di ristoro e delle rivendicazioni per migliori condizioni di lavoro contribuirono allo stabilirsi di un sodalizio forte e duraturo; le donne iniziarono ad intessere narrazioni e storie legate alla vita di risaia, e il paesaggio delle colture allagate risuonava per alcuni mesi dei loro canti. Su melodie notissime – dal coro alpino a quello contadino, dalla canzone di tradizione anarchica a quella socialista – si cantavano non solo il lavoro spossante o la malinconia per la distanza da casa, non solo gli amori e la vita quotidiana – ma anche l’odio per i potenti, di solito rappresentati dal padrone e dal parroco, e la consapevolezza di una propria forza ed alterità rispetto al mondo maschile.  Le mondine insomma si riflettevano nella propria epoca ed apportavano alle coeve lotte per il lavoro la peculiarità del proprio genere, anticipando in un certo senso i temi che avrebbero caratterizzato, qualche decennio più tardi, i movimenti di liberazione delle donne. I canti delle mondine rielaboravano i classici canti del lavoro o di lotta sindacale, e addirittura le marcette militari, con elementi di satira e di ironia, nel segno della consapevolezza della propria condizione e di un’originale educazione collettiva.

Se siete arrivati a leggere fino qui grazie della Vostra pazienza, non è sempre facile sintetizzare concetti. Questo mio vuol essere per quanto possibile uno stimolo ed incoraggiamento alle lotte che spettano alle DONNE non solo in occasione del prossimo 8 MARZO ma sempre, convinto come sono nell’affermare che non c’è liberazione dell’uomo senza liberazione della donna. Per scrivere questo pezzo mi sono avvalso di alcuni scritti di Carla Ravera, della rivista Anarchismo Libertario, Storia del novecento ed in ultimo dell’Ente Nazionale Risi dal quale vi riporto alcune incisioni originali. Buon ascolto

 Formato mp3

Durata

Dimensioni

>  1. la bella giardiniera

2′ 41"

(1.576 KB)

>  2. la campagnola

2′ 56"

(2.077 KB)

>  3. città di Genova (I parte)

3′ 10"

(2.241 KB)

>  4. città di Genova (II parte)

3′ 09"

(2.225 KB)

>  5. la coperta ricamata

2′ 33"

(1.803 KB)

>  6. dimmi bella

1′ 36"

(1.135 KB)

>  7. dormi piccina

2′ 30"

(1.762 KB)

>  8. erano le sette

2′ 54"

(2.043 KB)

>  9. guarda la luna

2′ 36"

(1.840 KB)

>  10. la bella la va al mare

2′ 21"

(1.658 KB)

>  11. la strada di Reggio

1′ 57"

(1.383 KB)

>  12. la va nel bosco

1′ 48"

(1.276 KB)

>  13. mamma mamma

3′ 22"

(2.379 KB)

>  14. mondarisi

1′ 38"

(1.159 KB)

>  15. o marinaio

2′ 36"

(1.835 KB)

>  16. e più non canto

3′ 05"

(2.175 KB)

>  17. se il mare fosse un pozzo …..

2′ 23"

(1.688 KB)

>  18. sul ponte di Verona

3′ 05"

(2.178 KB)

>  19. sul portone

2′ 36"

(1.835 KB)

>  20. tu Venezia

3′ 21"

(2.369 KB)