“E’ il tuo grido che fa muovere la mano di Dio”

E’ un dio che non esiste
ogni tanto ritorno, apro la porta, cerco una scrivania che non esiste, sistemo la sedia “sgangherata” e dimenticata … e penso senza un perché.Scrivo quello che la mente al momento mi detta. Forse non seguirò un filo logico, forse apparirò sconnesso, ma è questa oggi è la mia vita: una continua “sconnessione”La vita è come la sedia, quella sedia “sgangherata”.Sono qui, e sono là sempre a combattere, a sfidare questa sedia che è diventata  sempre più disgraziata. Ultimeranno prima  o poi  questi continui spostamenti, quasi viaggi …Quando non mi ritroverò più attaccato ad una flebo sarà solo troppo tardi…

Un Anarchia Sentimentale un nuovo idioma … gocce di veleno su un diverso pensiero a consolare il nostro  bisogno di un nuovo botto per una “nuova” libertà … l’amore senza croci, senza stato … abbi coscienza SENZA CATENE .. 

  

Parole in cammino

Lei è all’orizzonte: mi avvicino di due passi lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini non la raggiungerò mai. A che cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare. (Eduardo Galeano)

UN ALTRO ANNO DI RABBIA E DIGNITA’

GENOVA Operaio suicidato: aveva perso il lavoro
Un metalmeccanico genovese di 37 anni si è ucciso ieri gettandosi dal viadotto dell’autostrada A7 Milano-Genova nel tratto tra Genova Ovest e Bolzaneto, in località Rivarolo. L’uomo aveva perso il lavoro un anno fa, ed era caduto in depressione, anche perché padre di tre bambini. L’uomo non ha lasciato messaggi. Si è gettato dal viadotto che attraversa via Piombelli.

Non abbiamo che la rabbia e la dignità. (da un post del 1 gennaio 2009 ed oggi …)

La rabbia che ci fa inorridire davanti alle immagini di questi giorni nella Striscia di Gaza, ai barconi stracolmi di uomini, donne e bambini che arrivano su improbabili barche nelle nostre coste, a chi non ci riesce e muore a tredici anni schiacciato dal tir sotto cui si nascondeva.

La rabbia che proviamo di fronte a questa guerra che ci impone nuove basi militari o all’arroganza del potere che vuole distruggere i nostri territori con mega discariche o linee ad alta velocità.

La rabbia che abbiamo provato in tanti per l’omicidio di Alexis in Grecia, come Carlo Giuliani a Genova, sette anni indietro. Per Abbba.

La rabbia che proviamo di fronte al Potere che ci vuole impoverire, sfruttare, controllare.

La rabbia verso chi sgombera spazi sociali e case occupate, agli imbecilli che predicano e praticano l’odio e la violenza.

La rabbia per chi è rinchiuso in un CPT e si ribella. Per chi muore di freddo nelle nostre ricche città o dal fuoco in una baracca.

La rabbia che proviamo nel ricatto dei padroni e dei suoi aguzzini (Marchionne) che goccia a goccia ci negano il futuro.
Lo stesso tasso di gioia (un referendum tra la morte e l’oblio) assuefatti alla noia viviamo così mondi sommersi tutti da scoprire.

Un nuovo viaggio nel FIAT-NAM

Riprendiamoci la FIAT, e tutti i luoghi del profitto, che sono nostri e non solo per il sangue proletario versato ma perché siamo noi che facciamo ricca la terra con il nostro sudore.

La dignità è la nostra arma, l’arma di chi in tutto il mondo non si sottomette, non accetta, e cerca di costruire altri cammini.
Partiamo dunque per un viaggio di cui non conosciamo le strade, né immaginiamo le destinazioni. Un viaggio lungo un anno ma anche cento, mille, e che durerà un anno e anche cento. Ma non sapere le strade non significa non avere nulla negli occhi. E sono le immagini di Gaza martoriata, dei suoi figli più piccoli massacrati e straziati, ad occupare oggi tutta la nostra visuale.

Partiamo con il cuore stretto da una morsa, quella dell’assurdità di questo mondo ingiusto, orribile. Partiamo sapendo che questo ci resterà dentro, ed è l’unica cosa che sappiamo. Si può forse portare con sé il dolore come compagno di viaggio? Si può mettersi in cammino con questo fardello che ti pesa e ti schiaccia?
Dovremo imparare a portarlo, impedendo che esso ci inchiodi al suolo, fermi, prostrati.
I bimbi di Gaza, come quel murales di Banksy tracciato sul muro israeliano della vergogna e dell’aphartheid, vogliono solo volare, attaccati ad un pallone che sale verso il cielo.
A loro, ai loro sogni e desideri che qualcuno o qualcosa di mostruoso cerca di rubare, va il nostro pensiero. E se nel percorso sconosciuto in cui ci avventuriamo, la coltre di nebbia, di fumo, di oscurità sarà fitta così tanto da renderci incapaci di proseguire, alzeremo gli occhi, cercando gli occhi che ridono dei bambini di Gaza che volano.

Prima lettera di Dolcino e Margherita ai valsusini in lotta

incipit: qui di seguito uno scritto di un po’ di tempo fa, ma allora come adesso molto interessante e attuale Sarà ancora “düra”

Cari valligiani ribelli,
è con uno slancio del cuore che abbiamo deciso di scrivervi. Da secoli ci aggiriamo, stanchi e obliqui, sopra i fatti del mondo, assistendo ad uno spettacolo avvilente e angoscioso: montagne sventrate dall’arroganza del danaro, vallate affogate nel cemento, fiumi color della fanga; e, soprattutto, genti rassegnate e chine. Se il dolore è più forte nel veder devastate zone a noi care, terre di comunanza, rifugio e resistenza, come la Val di Ledro, la Val Sabbia o il monte Rubello (che la toponomastica asservita chiama oggi S. Bernardo), nel mondo degli interessi meschini siamo sempre stati stranieri, mentre ci siamo sentiti a casa nostra ovunque la natura prospera rigogliosa e selvaggia e l’uomo vive in armonia con la terra che gli è madre, fratello del suo simile.

C’è capitato di rompere il nostro silenzio, scrivendo di tanto in tanto a uomini e donne dal cuore puro e dal braccio fermo per incoraggiarli nella battaglia per la propria libertà, ma l’astuzia della Storia (dei potenti) ha sempre fatto sparire queste nostre lettere. Sul finire del secolo apertosi con la la morte sul rogo del nostro fratello Segalello, scrivemmo ai lollardi inglesi e, nella Pasqua del 1420, agli Adamiti, che predicavano in Boemia le dottrine dei Fratelli del Libero Spirito e della Libera Intelligenza. Scrivemmo a Thomas Müntzer e a Michael Gaismair durante quelle rivolte in cui, nella prima metà del Cinquecento, il “pover’uomo comune” fece rivivere lo spirito millenario della fratellanza contro i soprusi della toga, della tunica e dell’uniforme. Rivolte in cui la libertà si intrecciava con la difesa dei saperi e degli usi collettivi. Alla nostra epoca, sapete, c’erano parole simili per indicare la base delle comunità umane, per suggerire un certo modo di stare insieme. In Valsesia si chiamavano “vicinìe”, sull’Appennino “comunaglie”, sull’Altopiano di Asiago “fradelanze”, ma rinviavano tutte ad un’esperienza condivisa del mondo: la povertà. Pensate che ci fu un periodo – noi avevamo da tempo abbandonato questo mondo che bisogna abbandonare – in cui anche la parola repubblica (la “cosa di tutti”) aveva un suono dolce e promettente, non ancora falsato da un potere accentratore e tiranno. Con quale gioia, allora, vi abbiamo sentiti parlare e ridere della “Libera Repubblica di Venaus”! Con quale gioia abbiamo udito dei ragazzi valsusini urlare ai gendarmi “a Venaus abbiamo abolito il denaro”! Sapete, il nostro motto, per cui ancora oggi ci ricordano, era “tutte le cose sono di tutti”. Leggi tutto “Prima lettera di Dolcino e Margherita ai valsusini in lotta”