LO PSICOFARMACO NON È CICORIA

Incipit
Prendo ad esempio una vicenda accaduta solo qualche giorno fa in Vercelli per raccontare una storia…

Si spoglia e si corica sui binari
da La Sesia 25 gennaio 2011

Ora è ricoverato in ospedale sottoposto ad un Trattamento Sanitario Obbligatorio.
“Per salvarlo, davanti a decine e decine di persone allibite, hanno rischiato di morire in cinque investiti dal treno. E’ accaduto alle 13 di giovedì, sul secondo binario della stazione ferroviaria di Vercelli. Il protagonista del tentativo di suicidio è un giovane di 26 anni, ora ricoverato nel reparto psichiatrico del Sant’Andrea. Il ragazzo, ben vestito e dallo sguardo tranquillo e inoffensivo, si trovava sulla banchina del treno in attesa del convoglio che stava arrivando. Improvvisamente, quando il treno ha iniziato a entrare in stazione, lui si è quasi trasformato… ”

“Nel cancello d’un garage c’è una mente, a metà, sì, ma c’è una mente: suono il clacson e mi si apre il cancello.
È proprio una comunicazione tra l’interno e l’esterno dove il suono cambia qualcosa nel cancello che lo fa aprire. Manca l’altra metà, che però c’è nel meccanismo della parola e della biochimica del neurone: quando si apre il cancello non fa suonare il mio clacson.

Ma prima o poi questo vuoto si dovrà colmare.
Forse non ho capito molto sulla mente. A parte che, con la capacità che hanno le parole (ma solo le parole? Il denaro non fa venire la vista ai ciechi?) di andare a modificare l’assetto biochimico dei miei neuroni, uno potrebbe anche dedurre che basterebbero solo le parole giuste per correggere l’assetto biochimico che a noi serve dentro i nostri neuroni e creare il nuovo assetto corretto.

Sembra che sia su questo meccanismo profondamente psico-biochimico che si fonda lo psicofarmaco. Quello dell’elettroshock era meglio conosciuto nel suo meccanismo psico-fisico. Tanto più quello degli psicofarmaci di ultima generazione. Se zummiamo sul fenomeno, è come se noi, su un grande scacchiera, spostassimo le pedine a seconda del quadro che ci serve creare, senza però toccare o far cadere le pedine non coinvolte. Anche nel puzzle succede così.

Psicofarmaci mirati si chiamano.
Lavorano per il sottile: spostano componenti biochimiche, fino agli atomi, e li risistemano all’interno dello stesso neurone a seconda delle parole che ci serve produrre, o a seconda delle parole che vogliamo andare a correggere.
Lo psicofarmaco sa dove andare, cosa fare e come farlo …

Sono le parole giuste che ci indicano la quantità giusta di psicofarmaco da somministrare: quando dall’assuntore siamo riusciti ad ottenere il pronunciamento delle parole giuste, vuol dire che la dose di psicofarmaco è quella giusta.
Non se ne usa né di più né di meno.

Basta solo avere chiaro quali sono le parole giuste. Ma anche le azioni, i comportamenti, la posizione nello spazio e nel mondo, il gioco, l’alimentazione, l’irrequietezza nei bambini, l’inquietudine negli adulti. Tutto.
È una questione biochimica. E lo psicofarmaco è come un bisturi che taglia solo dove c’è il male e come il chirurgo che cuce solo dove c’è la ferita. Selettivi sono. Prima non si capiva niente degli psicofarmaci.

Ma non togliamo la parola di bocca – la macchina stava scrivendo il pane di bocca – agli scienziati. Non parliamone più.

Ma poi questa mente s’è trovata?
NO MA CHE IMPORTA …”